La lesione da pressione è un’area circoscritta della pelle in cui si è verificata una ferita che arriva fino ai tessuti sottocutanei e che è stata causata da forze di pressione, trazione, frizione, o da una combinazione di questi tre fattori.
Una LDP può essere causata da un qualsiasi tipo di pressione, sia essa esercitata dal solo peso corporeo, sia da ausili o dispositivi medici di cui la persona necessita.
In questo caso, la pressione si trova in combinazione all’attrito e/o alla trazione, e c’è una forza in cui due superfici parallele scorrono l’una accanto all’altra ma in direzioni opposte, come nel caso della cute nella zona posteriore delle cosce di un paziente che scivola dalla sedia a rotelle e che viene “tirata” in senso opposto, o della pelle di una persona allettata che è posta tra due forze dure, come il materasso ed i tessuti sottocutanei in cui si crea frizione, perché la pelle oppone resistenza rispetto ai materiali con cui viene a contatto e “sfrega” contro vestiti, lenzuola, materasso.
Le ferite che si creano sono chiamate lesioni da pressione perchè una forza di pressione protratta (bastano due ore di pressione continuativa a 70 mmHg per provocare lesioni cutanee importanti) impedisce il normale flusso sanguigno su un punto della pelle e ne causa la strozzatura dei piccoli vasi sottostanti. Il sangue, carico di nutrienti, non arriva alle cellule dei tessuti e ne provoca la morte. Se le cellule muoiono, comincia a crearsi una ferita che può interessare solo l’epidermide e il derma ma può coinvolgere anche il tessuto sottocutaneo e, nei casi più gravi, arrivare fino ai muscoli e alle ossa.
Esiste anche un’altra causa per questo tipo di ulcere, dovuta a tutte quelle condizioni -come incontinenza, drenaggio di fistola, umidità da drenaggio, sudorazione, iperpiressia ecc- , che provocano un incremento della temperatura con sudorazione e/o elevati livelli di umidità in corrispondenza dell’interfaccia tra cute e superficie di supporto portando a macerazione della cute e conseguente ulcerazione
I pazienti più a rischio sono i soggetti anziani ultrasettantenni, tutte le persone mielolese e miasteniche che hanno riduzione della sensibilità e della forza di contrazione muscolare, quelle con sclerosi multipla per la presenza di spasticità e parestesie, ma anche i pazienti oncologici, neurolesi o politraumatizzati che non si possono muovere, i Diabetici a causa della neuropatia, i pazienti sottoposti a dialisi, in sintesi soggetti non deambulanti, pazienti incoscienti, pazienti allettati a causa di malattie croniche, pazienti in riabilitazione post chirurgica rischio temporaneo (esempio, i pazienti ospedalizzati ed operati per la protesi di anche o femore), pazienti con contratture.
Fattori di rischio specifici includono l’uso di vasopressori, il deterioramento cognitivo e sensoriale, l’obesità, l’edema, le lesioni vascolari cerebrali, le lesioni del midollo spinale, procedure chirurgiche prolungate e la durata della degenza, l’inadeguata alimentazione, il fumo di sigaretta.
L’ulcera in genere si forma in corrispondenza di prominenze ossee e, a seconda della profondità della ferita, si distinguono diversi stadi o meglio categorie, che comportano 4 livelli diversi di danno:
- la Categoria 1 prevede un arrossamento fisso con pelle intatta, che però non scompare nel giro di 24 ore dal rilascio della compressione. Questo viene detto eritema non sbiancabile ed è un’indicazione di danno precoce nelle ulcere da pressione. Se un individuo viene posizionato direttamente su prominenze ossee con eritema pre-esistente che non sbianca, la pressione e / o le forze di taglio ostacoleranno ulteriormente l’afflusso di sangue alla cute, peggiorando così il danno e causando ulcerazioni di pressione più gravi.
- La Categoria 2 prevede la perdita della parte superficiale della pelle e la lesione si presenta come un’abrasione, un’ulcera aperta, superficiale, con un letto color rosa/rosso. Può anche presentarsi come una vescicola a contenuto sieroso intatta oppure aperta/rotta.
- Nella Categoria 3 invece c’è già la perdita di tutti gli strati cutanei (epidermide, derma, tessuto sottocutaneo) e solitamente la ferita ha l’aspetto di un cratere. Il tessuto adiposo sottocutaneo può essere visibile, ma osso, tendini o muscoli non sono ancora esposti. La profondità di un’ulcera da pressione di categoria III varia a seconda della regione anatomica. Laddove c’è poco tessuto adiposo sottocutaneo possono essere poco profonde. Al contrario, nelle aree con significativa adiposità si possono sviluppare ulcere da pressione di categoria III molto profonde, sempre però con osso/tendine che non sono ancora visibili o direttamente palpabili.
- Nella categoria 4 c’è invece la perdita di tutti gli strati cutanei con danneggiamento o distruzione del muscolo, dell’osso o delle strutture di supporto sottostanti (tendini, articolazione).
- Esiste poi la possibilità di riscontrare una ferita che non è non stadiabile, in cui c’è perdita cutanea e tessutale e in cui l'entità del danno all'interno della lesione non può essere confermata in quanto oscurata da escara (parte necrotica di un tessuto) presente nel letto dell’ulcera. Fino a quando l’escara non viene rimossa in misura sufficiente da esporre la base dell’ulcera, non è possibile determinare la reale profondità e conseguentemente la categoria. Un’escara stabile (che è secca, adesa, integra, senza eritema) localizzata sui talloni ha la funzione di “naturale copertura del corpo” e non dovrebbe essere rimossa.
La comparsa di LDP rallenta il recupero funzionale del paziente e può comportare complicanze di natura infettiva nonché determinare la comparsa di dolore e prolungare nettamente la degenza ospedaliera con alti costi. Costituiscono inoltre un fattore prognostico sfavorevole che si associa ad aumento della morbidità e della mortalità e sono un indicatore chiave peer giudicare la qualità dell’assistenza delle cure
Per descrivere l’aspetto della ferita, nei protocolli di cura ad uso ospedaliero, si usano anche i colori che in origine erano solo tre, ossia rosso, giallo e nero; nel tempo ne sono stati aggiunti altri, tra cui verde, rosa, ma esistono versioni che includono bianco (indicante macerazione), arancione (indicante una ferita eccessivamente asciutta), ecc.
Nelle linee guida ad ogni colore è stato assegnato uno specifico obiettivo terapeutico. Il colore verde rappresenta la condizione meno desiderabile, perché indica colonizzazione batterica e dunque infezione, a seguire ci sono il colore nero che indica la presenza di escara e quindi di tessuto non vitale a vari livelli di disidratazione e il giallo, che indica invece la presenza di essudato o fibrina. Il colore rosso e rosa rappresentano invece le condizioni meno impegnative e di risoluzione più semplice.
Le zone del corpo soggette a maggior rischio di sviluppo di lesioni da pressione: al secondo posto, dopo la zona sacrale, c’è il tallone
La LDP può insorgere potenzialmente in qualsiasi parte della superficie cutanea ma più comunemente, come già riportato più sopra, in corrispondenza di prominenze ossee e rappresenta una condizione frequente ma potenzialmente prevenibile in popolazioni ad alto rischio, quale quella anziana, che ha già di suo la fragilità cutanea e quella dei soggetti diabetici o con compromissione dell’autonomia funzionale
La maggior parte delle LPD si sviluppa rapidamente nelle prime settimane di ospedalizzazione o allettamento domiciliare e le sedi più frequentemente colpite sono localizzate nella porzione inferiore del corpo, ed in particolare sul sacro, sul grande trocantere, sul tallone, sulle tuberosità ischiatiche e sui malleoli laterali.
Il 20/24% dei posti ospedalieri sono occupati da Pazienti con ulcera da pressione, 60/80% di questi pazienti hanno sviluppato le ulcere da pressione in Ospedale (Posnett J, et al. The resource impact of wounds on health-care providers in Europe. Journal of Wound Care. 2009; 18:4)
Uno studio del 2011 dimostra che la prevalenza delle ulcere da decubito è localizzata a livello del tallone (Lena Gunnimberg, Nancy A Scotts, Eva Idwall “Hospital-acquired pressure Ulcers in Two Swedish County Councils: cross-sectional data as the foundation for future quality improvment” int Wound J 2011; 8:465-473)
In effetti il tallone è esposto a una notevole pressione d'interfaccia, perché, a livello strutturale, la sua prominenza posteriore sostiene il peso del piede e della parte finale della gamba creando forze verticali, e, per quanto riguarda le forze di taglio e/o attrito, la pelle a quel livello sfrega molto, specie quando il paziente è immobile per un periodo di tempo prolungato sul letto. Inoltre, proprio sui talloni, la microcircolazione è fisiologicamente molto scarsa e la cute molto sottile a causa della presenza affiorante dell’osso. Per i soggetti allettati la pressione prolungata nel tempo comporta dunque la mancanza di un adeguato afflusso di sangue, causando una occlusione vasale locale che compromette l’irrorazione sanguigna (venosa ed arteriosa), spesso collegata anche ad alterazioni patologiche (cardiache e vascolari, diabete o ictus).
Nonostante queste ovvie considerazioni, la patofisiologia delle LPT non è stata ancora completamente chiarita. In particolare, i meccanismi che sono alla base della relazione tra il riposo a letto e lo sviluppo delle lesioni del calcagno necessitano di ulteriori indagini, precludendo, ad oggi, lo sviluppo di adeguate strategie per la diagnosi e la gestione. Quando si formano le lesioni agli arti inferiori, il paziente prova forte dolore, disagio, limitazioni alla mobilità, riduzione della qualità della vita e - nel caso di malati ad alto rischio con diabete mellito – anche potenziale rischio di osteomielite, amputazione dell’arto al di sotto del ginocchio e persino morte. La guarigione di questo tipo di LDP è molto lenta, mai facile e può provocare l'interruzione della mobilità con conseguenze iatrogene.
L’incidenza delle LPT continua ad essere una percentuale piuttosto importante tra quelle acquisite durante i ricoveri ospedalieri, e, nonostante gli sforzi compiuti e l’avanzamento delle conoscenze in campo scientifico e tecnologico, non accenna a diminuire, anzi, è in costante aumento, comportando un notevole incremento dei costi sanitari diretti a cui si aggiungono i costi associati all'aumento della durata della degenza e i costi di opportunità, con investimento di tempo e risorse umane e un carico clinico-organizzativo che resta ancora impressionante.
Attualmente non esistono metodi standardizzati per la valutazione e il trattamento precoci dei pazienti con LPT. La mancanza di studi clinici ben condotti impedisce la definizione di una gestione clinica condivisibile a livello di strutture sanitarie e contribuisce ad un’ingiustificata eterogeneità nei comportamenti clinici e negli esiti di cura. La terapia delle piaghe da decubito è piuttosto impegnativa, le lesioni aperte faticano a guarire e, poiché la pelle e gli altri tessuti sono già stati danneggiati o distrutti, la guarigione non è mai perfetta.
Affrontare i molteplici aspetti della cura delle ulcere, compresi quelli psicologici dei pazienti che provano dolore e non riescono più a muoversi, richiede un approccio multidisciplinare.
L’AISLeC, Associazione Infermieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee, nel 2017 ha intrapreso un progetto per integrare con metodo sistematico le evidenze disponibili con le opinioni degli esperti e degli stakeholders, al fine di raggiungere un adeguato grado di consenso sulle raccomandazioni per la buona pratica clinica e per supportare i clinici nel processo decisionale, migliorando l’appropriatezza delle cure e riducendo i costi associati.
Per raggiungere questo obiettivo, è stata condotta, secondo la metodologia del Grade Working Group, una revisione sistematica della letteratura seguita dalla formulazione e discussione strutturata di specifiche raccomandazioni per la pratica clinica, raggruppabili in sei specifiche aree: Assessment Vascolare, gestione delle Lesioni da Pressione del Tallone categoria I e II (LPT I e II), gestione delle Lesioni categoria III e IV (LPT III e IV) Sospetto Danno Tissutale Profondo (Suspected Deep Tissue Injuries – STDI) o di profondità sconosciuta (unknown depth – DU), Criteri per l’invio allo specialista, Dispositivi di scarico e Agenti biofisici.
In sintesi, secondo la Consensus Conference AISLeC ci si può trovare di fronte ad una “LPT semplice” al tallone che è una “lesione guaribile” con un trattamento conservativo e un adeguato scarico. La diagnosi per questa lesione richiede la presenza di tutti i seguenti criteri:
• Prima o seconda categoria
• Normale vascolarizzazione
• Paziente non diabetico
• Insorgenza < 6 settimane
Una “LPT complessa” è invece definita come una lesione che difficilmente può guarire con un trattamento conservativo e per esprimere corretta diagnosi occorre la presenza di uno o più dei seguenti criteri:
• Vascolarizzazione compromessa
• Terza o quarta categoria
• Non stadiabile (DU)
• Paziente diabetico
• Insorgenza>6 settimane
Viene infine definita “LPT recalcitrante” una lesione statica senza segni di miglioramento per più di 4-8 settimane, che difficilmente può guarire nonostante un iter diagnostico completo ed un trattamento standard.
In questi ultimi due casi la raccomandazione forte è quella di riferirsi ad un team Interdisciplinare dedicato alla gestione delle lesioni da pressione del tallone, al fine di escludere infezioni ossee e personalizzare il corretto trattamento per evitare ulteriori complicanze maggiori, come le amputazioni, e supportare il recupero funzionale dell’arto.
Il Team Interdisciplinare comprende come membri essenziali:
• un chirurgo/medico con esperienza in wound care
• un infermiere specializzato in wound care
• un podologo/podiatra
La possibile prevenzione di LPT
Senza una sufficiente irrorazione sanguigna il tessuto colpito muore, quindi il parere unanime della comunità medica è che la piaga vada prima di tutto prevenuta, anche perché rappresenta una delle complicanze più costose e fisicamente debilitanti per i pazienti e per le organizzazioni sanitarie. Nel determinare la strategia di prevenzione ottimale, le raccomandazioni AISLeC suggeriscono di considerare tutti i seguenti aspetti: 1) durata dell’immobilità; 2) mobilità delle gambe; 3) ipermobilità; 4) scarso afflusso arterioso; 5) presenza di neuropatia; 6) scivolamenti verso la porzione inferiore del letto.
Le tre principali tipologie di approccio per la prevenzione delle LPT includono l’utilizzo delle superfici di supporto, per permettere una adeguata ridistribuzione della pressione di appoggio e ridurre il carico tessutale, i dispositivi di scarico/protezione specifici e il riposizionamento, oltre che a mantenere idratata il più possibile la cute con creme o gel emollienti, in modo da creare una barriera protettrice per prevenire ulteriori danni alla pelle.
Per quanto riguarda le superfici di supporto esistono solide prove di efficacia a favore dell’uso di un materasso in schiuma viscoelastica o ad aria, in confronto a un materasso ospedaliero standard, perché si riduce la pressione d’interfaccia e quindi si riduce anche il rischio d’insorgenza di LPT nei soggetti con maggiore predisposizione al loro sviluppo. Per evitare che le superfici risultino inefficaci è poi necessario posizionare il minor strato possibile di lenzuola nelle zone di contatto del paziente ed evitare l’uso di traverse assorbenti e pannolini, in modo da consentire l’affondamento massimo del paziente sulla superficie, favorire la distribuzione del carico e ridurre la pressione di contatto.
Di fondamentale utilità per i pazienti che trascorrono molto tempo in carrozzina, oltre ai materassi in schiuma e ad aria, sono i cuscini antidecubito. Sono anch’essi dotati di celle che si gonfiano e sgonfiano in maniera sequenziale per limitare il tempo di appoggio sulla superficie del cuscino, in modo tale da favorire la circolazione e l’ossigenazione dei tessuti.
Per le situazioni meno critiche esistono supporti in diversi materiali come il silicone o i materiali compositi viscoelastici, che alleviano la pressione adattandosi alle prominenze ossee del paziente. Di questi materiali sono composti materassi, cuscini, ma anche talloniere
I pazienti paraplegici che presentino LPT di qualsiasi stadio insieme ai pazienti adulti diabetici e non diabetici che presentano LPT di 4° categoria o ferita che non è non stadiabile, devono indossare uno di questi dispositivi di scarico mentre sono seduti in carrozzina al fine di prevenire ulteriore danno e permettere la guarigione della ferita, mentre i pazienti adulti diabetici e non diabetici che presentano LPT I-II-III categoria devono indossare un dispositivo di scarico mentre camminano al fine di ridurre il carico sui talloni. Tra gli ausili ideati e sagomati per la delicata zona del tallone si trovano talloniere che permettono una distribuzione del peso su tutta la superficie del device per assicurare un’ottimale protezione dalle lesioni, garantendo la circolazione dell’aria e scongiurando così la macerazione della cute e il rullo per tallone, che applicato alla caviglia, che mantiene sollevato il tallone dalla superficie del letto; anche i cuscini ospedalieri convenzionali sembrano efficaci, se applicati in modo appropriato, in quanto agiscono sia sulla pressione d’interfaccia che sulle forze di taglio e attrito. Esistono studi, che dimostrano l’importanza dei materiali impiegati nella costruzione di questi strumenti, che devono essere traspiranti e consentire un microclima ideale ad evitare situazioni di sudorazione.
I dispositivi di protezione specifici (medicazioni protettive, stivali, prodotti emollienti), sebbene non forniscano un completo sollievo dalla pressione di interfaccia, sono particolarmente raccomandati nei pazienti ad alto rischio. In pazienti adulti diabetici e non diabetici con preesistenti LPT categoria I e II, deve essere applicato un dispositivo con tecnologia a bassa frizione (Low Friction Technology DevicesLTF) al fine di prevenire ulteriori danni e deve essere utilizzata una medicazione in silicone al fine di prevenire danni cutanei correlati a medicazioni adesive (Medical adhesive related skin injuriesMARSI). In pazienti adulti, che presentino una o più LPT di categoria 4 deve essere eseguito un trattamento chirurgico al fine di supportare la guarigione della ferita e prevenire un’amputazione maggiore.
Un ottimale regime di riposizionamento mentre il paziente è allettato o in carrozzina,
rappresenta anch’esso una buona strategia di prevenzione delle LPT, perché i talloni sono solitamente tenuti in scarico con cuscini posizionati longitudinalmente e quindi occorre un cambiamento, una rotazione o una tornitura- intrapresi a intervalli regolari, per lo più ogni 4 ore-nella posizione della persona sdraiata o seduta, allo scopo di alleviare o ridistribuire la pressione e migliorare il comfort e la capacità funzionale. Durante il riposizionamento, occorre cercare di mantenere sempre il corretto controllo posturale e i soggetti a rischio non devono mai essere trascinati ma il più possibile sollevati, quindi si rende necessario l’utilizzo di ausili, come sollevatori meccanici, meccanismi di rotazione dei letti, assi o teli di trasferimento e tecniche che riducono il rischio di provocare danni ai tessuti per taglio e attrito.